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LGBT e Sport: Due mondi a braccetto

LGBT e Sport: Due mondi a braccetto

Lo sport è sempre stato simbolo di unione e fratellanza tra popoli e genti, come è successo a Pyeongchang, quando le due Coree, quella del Nord, chiusa in sé stessa da anni, nascosta dal mondo e sempre pronta ad attaccare, e quella del Sud, moderna e da qualche anno al centro del mondo in vari ambiti, si sono unite sotto un unica bandiera per le Olimpiadi Invernali del 2018.

Storie, genti, comunità. Non solo paesi, ma anche persone, legate da un solo fil rouge: Lo sport. Abbiamo citato le comunità, che secondo la Treccani rappresenta la comunanza, uno status condiviso, comunione di vita sociale.

La comunità LGBT, protagonista dell’editoriale odierno, conta una media di 2,7% per abitanti di ogni nazione, anche se le cifre variano da paese a paese.

Nel corso degli ultimi trent’anni, l’omosessualità è diventata pian piano sempre meno un tabù, e molti atleti hanno deciso di fare coming out durante o dopo la loro carriera. Per esempio, nelle Olimpiadi di Tokyo 2020, disputate a un anno di distanza e a porte chiuse a causa del Covid, sono stati 161 gli atleti LGBT che hanno partecipato alle discipline dei trentaduesimi Giochi Olimpici.

Tokyo 2020: I Giochi Olimpici arcobaleno

Partiamo proprio da qua, dalla scorsa estate e dall’edizione appena passata dei Giochi Olimpici. Come accennato in precedenza, sono stati 161 gli atleti appartenenti alla comunità LGBT, mai così tanti nella storia delle Olimpiadi moderne. Abbiamo rivisto in gara atleti come Tom Daley, tuffatore britannico medaglia d’Oro nella Piattaforma Sincro e Bronzo nella piattaforma 10 Metri, oppure atlete del calibro di Megan Rapinoe, calciatrice statunitense, e la sua compagna Sue Bird, campionessa nella Pallacanestro.

Abbiamo conosciuto le storie, da parte della nostra selezione, le storie di Rachele Bruni, nuotatrice fondista, di Lucilla Boari, arciera che ha vinto una storica medaglia di bronzo, dedicata alla compagna, oppure Paola Enogu, pallavolista che ha avuto una relazione con una ragazza in passato e ha rivelato di non avere differenze di genere per una relazione futura, o in tempi recenti il coming out della pugile napoletana Irma Testa.

Come detto in precedenza, i 161 atleti appartenenti alla comunità LGBT sono il numero più alto delle Olimpiadi moderne, un numero molto grande rispetto ai 56 di Rio 2016 e ai 23 di Londra 2012, anche se le polemiche su alcuni atleti son sono mancate.

Il caso Laurel Hubbard: La prima atleta transgender alle Olimpiadi

Ha fatto tanto scalpore alle Olimpiadi di Tokyo 2020 la partecipazione di Laurel Hubbard, atleta neozelandese nel Sollevamento Pesi, nonché prima atleta transgender nella storia delle Olimpiadi. Ha gareggiato nella categoria +87 Kg, arrivando ultima tra quattordici partecipanti, avendo fallito i suoi tre tentativi a disposizione.

L’atleta quarantatreenne ha ringraziato il CIO per la sua partecipazione, appellandosi al concetto di inclusione, che lo sport è di tutti, ma non sono comunque mancate le polemiche per il solo fatto di essersi presentata in una competizione femminile.

Dobbiamo riordinare le regole: nulla contro la partecipazione dei trans, ma non va dato loro un vantaggio così forte“, così ha commentato la scelta Anna Van Bellinghen, collega belga e rivale agli ultimi Giochi Olimpici, mentre il presidente del Comitato Olimpico Internazionale, Thomas Bach, ha convocato un gruppo di lavoro per regolamentare la partecipazione degli atleti Trans alle Olimpiadi dopo Pechino 2022.

Laurel Hubbard, la prima atleta transgender alle Olimpiadi (Crediti della foto: Reuters)
Laurel Hubbard, la prima atleta transgender alle Olimpiadi (Crediti della foto: Reuters)

Comunità LGBT e Sport: Due mondi paralleli

Il calcio: Un ambiente in evoluzione

Se lo sport aiuta a creare un’unione e un tipo di fratellanza tra popoli e comunità, ancora oggi per l’opinione pubblica molte discipline sono legate ancora al discorso dei generi, come per esempio il calcio, legato da anni al tabù del coming out, anche se negli ultimi mesi le notizie di personaggi legati al mondo del pallone.

Un anno fa ha fatto scalpore la lettera scritta da un giocatore della Premier League che ha preferito restare anonimo, dichiarandosi omosessuale, ma mettendosi vergogna di farlo pubblicamente, perché a detta sua l’ambiente non è ancora pronto per accettare un membro della comunità LGBT al suo interno.

Troy Deeney, capitano e veterano del Watford, si è schierato apertamente a favore del giocatore anonimo, affermando che potrebbe scatenare una reazione a catena in senso positivo, perché da una persona che decide di uscire allo scoperto ce ne potrebbero essere migliaia che possono vivere una vita migliore sul terreno di gioco.

L’Inghilterra ha una certa tradizione in merito: Justin Fashanu, negli anni ’80, fu il primo appartenente alla comunità LGBT, anche se lo ha dovuto tenere nascosto per tanto tempo perché ostracizzato da un ambiente che non avrebbe accettato la sua condizione. Brian Clough, suo allenatore ai tempi del Nottingham Forest, era disturbato dalle voci di corridoio nei suoi confronti.

Fu addirittura accusato di violenze nei confronti di un adolescente durante il suo periodo di permanenza in Maryland, nelle serie minori americane, cose poi cadute per mancanza di prove. Il 2 Maggio 1998, tornato a Londra sotto falso nome, si suicidò impiccandosi e lasciando una lettera:

Desidero dichiarare che non ho mai e poi mai stuprato quel giovane. Sì, abbiamo avuto un rapporto basato sul consenso reciproco, dopodiché la mattina lui mi ha chiesto denaro. Quando io ho risposto “no”, mi ha detto: “Aspetta e vedrai […] Sperò che il Gesù che amo mi accolga: troverò la pace, infine.

Ha fatto notizia anche la decisione di James Adcock, arbitro di Seconda Divisione inglese che ha fatto coming out e ha deciso di rivelarlo ai suoi colleghi arbitri, che hanno accolto con supporto la sua scelta, a dimostrazione che in trent’anni di strada ne è stata fatta in terra d’Albione.

Nel nostro paese non ci sono casi famosi di calciatori omosessuali, ma uno dei giocatori che ha militato nel nostro torneo, Radja Nainggolan, attualmente all’Anversa, nel 2018 aveva difeso la comunità LGBT nel mondo del calcio: “In questo mondo, se ci fosse veramente qualcuno gay, non si sentirebbe a proprio agio, perché il calcio è noto per le belle donne”, ha così rivelato l’ex Roma, Cagliari e Inter in un’intervista.

Infine, è stato un caso vero e proprio il coming out di Josh Cavallo, giocatore dell’Adelaide United di ventuno anni, che è diventato il primo calciatore in attività a rivelare di essere omosessuale, diventando un eroe per il movimento mondiale e un esempio per chi è rimasto dentro lo sgabuzzino.

Per quanto riguarda il genere femminile, sono tante le calciatrici famose che fanno parte della comunità LGBT, come per esempio Megan Rapinoe, compagna di un’altra celebre sportiva appartenente alla grande squadra arcobaleno, ovvero Sue Bird, cinque volte medaglia d’oro ai Giochi Olimpici nel Basket con la nazionale americana.

Sport Americani: Una porta sempre più aperta

A proposito di Stati Uniti, negli ultimi anni sono stati tanti i coming out nel mondo degli Sport Americani, divisi per disciplina, storie personali e reazioni, quasi tutte positive e di supporto per un universo che negli ultimi quarant’anni è stato al centro dell’attenzione dei media in tutto il mondo.

Partiamo dal caso più recente, quello di Carl Nassib, Defensive End dei Las Vegas Raiders che ha fatto coming out questa estate, diventando il primo membro della comunità LGBT ad uscire allo scoperto mentre è in attività nella NFL. Non è il solo ad aver fatto questa scelta, ne abbiamo già parlato con un articolo di approfondimento sul tema.

Nel mondo del Basket divenne famoso il caso di Jason Colllins, primo cestista gay nella storia della NBA quando fece coming out nel lontano 2013. Fu il primo atleta nei quattro maggiori sport nello stato a stelle e strisce a dichiarare di essere omosessuale, scatenando all’epoca molte reazioni, anche avverse.

Jason Collins, il primo cestista dichiarato nella storia della NBA
Jason Collins, il primo cestista dichiarato nella storia della NBA

 

“Nessuno vuole vivere nella paura. Ho sempre avuto paura di dire la cosa sbagliata. […] Ci vuole tantissima energia per custodire un segreto così. Ho sopportato anni di miseria e passato lunghi periodi a vivere una menzogna. Ero certo che il mio mondo sarebbe caduto a pezzi se qualcuno l’avesse saputo. Eppure quando ho finalmente riconosciuto la mia sessualità mi sono sentito completo per la prima volta. Avevo ancora lo stesso senso dell’umorismo, le stesse stravaganze: i miei amici sono rimasti dalla mia parte”, aveva confessato Collins nella sua intervista a Sports Illustrated.

Sarà stato il primo a farlo in attività, ma non è l’unico: John Amaechi, cestista inglese ex Cleveland, Orlando e Utah Jazz con un piccolo periodo in Italia, alla Virtus Bologna, fu il primo a parlare apertamente della sua sessualità ricevendo reazioni avverse da parte di Tim Hardaway, che all’epoca dichiarò di non volere un compagno di squadra gay, chiedendo scusa in un secondo momento.

Dall’altro lato, la WNBA è una delle lege dove la comunità LGBT è tra quelle più rappresentate, con il 25% delle giocatrici che hanno disputato gli ultimi playoff, vinti dalle Chicago Sky, che avevano tre giocatrici (Stefanie Dolson, Allie Quigley e Courtney Vandersloot) appartenenti al team arcobaleno, che ha ammesso pubblicamente di essere lesbica o bisessuale.

Anche il mondo dell’hockey su ghiaccio ha da poco un suo atleta arcobaleno. Luke Prokop , prospetto dei Nashville Predators attualmente agli Edmonton Oil Kings della Western Hockey League, è stato il primo giocatore con un contratto NHL a dichiarare di essere gay, ricevendo supporto da tutta la lega.

Per concludere, anche il baseball ha le sue icone e i suoi martiri. Glenn Burke fu il primo nella storia della Major League Baseball ad uscire allo scoperto, ma da allora la sua vita divenne un inferno. Era il 1978, altri tempi, e quando andò a giocare agli Oakland Athletics fu fin da subito il bersaglio di pesanti discriminazioni all’interno del dugout. Dopo il suo ritiro passò il resto dei suoi giorni come senzatetto dopo un incidente.

Positivo all’AIDS, morì nel 1993, non prima di scrivere la sua autobiografia, dove scrisse delle parole molto importanti:

“Nessuno può più dire che un gay non può giocare in Major League, perché io sono gay e ce l’ho fatta”.

La comunità LGBT e i motori: un universo lontano

Di solito la comunità LGBT non è quasi mai stata legata al mondo dei motorsports, ma negli ultimi anni anche il mondo delle due e delle quattro ruote ha iniziato ad aprirsi al mondo LGBT.

Il primo fu Mike Beuttler, ventotto partenze in Formula 1 tra il 1971 e il 1973, molto riservato data l’epoca dei fatti, ma fu il primo, e ad oggi unico, pilota nella storia della categoria ad essere gay. Dopo aver corso, decise di trasferirsi negli States, dove morì nel 1988 a causa di alcune complicazioni con l’AIDS.

Nell’universo NASCAR, ambiente storicamente molto chiuso rispetto agli altri campionati, il primo fu Stephen Rhodes, che nel 2003 corse due gare nell’allora Craftsman Truck Series, mentre quest’anno è toccato a Devon Rouse, sempre con i pick-up, correre a Knoxville ed abbattere un digiuno durato diciotto anni.

A livello Indycar e simili, il più riconosciuto è Freddy Niblack, che ha sempre avuto una carriera difficile a causa del fatto che da adolescente è uscito dallo sgabuzzino, mentre il primo in assoluto fu Evan Darling, che ha corso gran parte della sua carriera nelle divisioni Grand-Am/IMSA.

Ad oggi esiste un’associazione inglese, Racing Pride, che promuove l’inclusione nel mondo dei motori. Tra gli ambasciatori dell’organismo c’è anche Sarah Moore, la prima pilota della comunità LGBT ad ottenere un podio in un weekend di gara della Formula 1, quando arrivò seconda al GP d’Austria della W Series 2021, la serie femminile che corre in alcuni weekend dove anche la massima serie è in pista.

Nel mondo delle due ruote sono pochissimi i riders arcobaleno. Nessuno di questi ha mai corso in MotoGP o nella versione mondiale della SuperBike, ma a livello locale, per la precisione in Inghilterra, dove alcuni piloti sono parte della comunità LGBT, come Zack Leader, campione in passato della British Evo Gravity Bike per due anni di fila, e Luke “Lucky” Huff, pilota AMA.

Il mondo dei Motorsports è ancora lontano dal vedere un pilota della comunità LGBT come vero e proprio simbolo del movimento, ma si spera di vederne qualcuno in futuro che possa rappresentarne degnamente la collettività.

Giochi LGBT: Quando lo sport incontra la diversità

Abbiamo aperto parlando delle ultime Olimpiadi, e chiudiamo con l’idea di un ex olimpionico e di come si è sviluppata, divisa e tornata in vita per la comunità LGBT non solo nello sport, ma anche come evento culturale.

Tom Waddell, medico sportivo ed ex olimpionico, dato che aveva partecipato alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, arrivando sesto nel decathlon, divenne in poco tempo un eroe per la comunità LGBT. Fondò la Federazione dei Gay Games quarant’anni fa, nel 1982, a San Francisco.

Il luogo non è casuale, perché la capitale della Bay Area è tra i luoghi più LGBT Friendly al mondo e perché una decina di anni prima aveva partecipato a una lega di bowling per persone omosessuali, il che gli aveva dato uno spunto per la sua idea. Anche Waddell morì presto e di AIDS, nel 1987.

Tom Waddell, il fondatore dei Gay Games, i giochi olimpici della comunità LGBT.
Tom Waddell, il fondatore dei Gay Games, i giochi olimpici della comunità LGBT.

 

Ad oggi ci sono state dieci edizioni dei Gay Games, ma quella più controversa è stata quella del 2006. Inizialmente assegnati a Montreal, ma a causa di una mancanza di organizzazione e di fondi, la sede è stata spostata a Chicago, luogo dove si è svolta la settima edizione.

Nonostante ciò, l’organizzazione a capo della manifestazione in Canada ha continuato il proprio lavoro, dando vita ai World Outgames, manifestazione sportivo-culturale per la comunità LGBT durata poco e finita per una frode.

La spaccatura ha dato vita alla dissoluzione momentanea della FGG (Federation of Gay Games) e alla fondazione del GLISA (Gay and Lesbian Sport Association), organizzatrice dei World Outgames, un’altra Olimpiade a tema LGBT che, come detto in precedenza, durerà poco.

Nati nel 2006, i World Outgames hanno visto solo tre edizioni, e l’ultima di queste, la quarta, doveva essere svolta a Miami Beach, ma a poche ore dalla cerimonia di apertura tutto fu cancellato, con il comitato organizzatore accusato di truffa. La comunità LGBT ha scelto di dissociarsi dal GLISA e dai suoi fallimenti precedenti, e di tornare ad associarsi con la FGG per riunirsi in nome dell’unione tra paesi e culture.

Ad oggi, la prossima edizione dei Gay Games, gli unici giochi dedicati alla comunità LGBT, sarà ad Hong Kong nel 2023, spostati a causa del Covid-19 e inizialmente organizzati per Novembre 2022, e un’altra edizione è in programma a Valencia nel 2026.

Nonostante il cliché che ogni comunità non sarà mai unita a dovere, come abbiamo visto nell’ultimo caso, è stata fatta tanta strada negli anni per l’accettazione in ogni ambito sportivo per le persone della comunità LGBT, e tutto ciò è un grande risultato, anche se in tante parti del mondo si è ancora lontani dal portare a termine questo percorso, a causa di discriminazioni o di politiche anti arcobaleno.

Ad oggi, un coming out nel mondo dello sport fa sempre notizia o scalpore, anche se non dovrebbe fare notizia, ed è per questo che, nonostante i grandi passi fatti nei decenni per l’accettazione della comunità LGBT nella nostra società, chiudiamo con le dichiarazioni fatte dalla pugile napoletana Irma Testa poco tempo fa, quando ha fatto coming out:

Parlare di orientamento sessuale nel mondo dello sport ha un valore speciale, perché ai campioni si chiede di essere perfetti. E per molti l’omosessualità è ancora un’imperfezione. Per timore di intaccare la propria immagine tanti sportivi tacciono e si nascondono. Anche per me è stato così fino a pochi mesi fa. Ma quella medaglia di Tokyo è diventata il mio scudo[…]

E lo faccio in un momento in cui esporsi è diventato fondamentale. Se io mi sono sentita protetta e al sicuro in questi anni è stato per la corazza che mi porto addosso, per il mio carattere: sono una donna forte di natura. Ma non tutti sono così. Ci sono persone che soffrono per le discriminazioni, che sono vittime di bullismo, che non riescono a costruirsi una vita perché non sanno come relazionarsi con una società che è loro ostile.

Ogni essere umano dovrebbe essere protetto e al sicuro. O almeno tutelato. Chi può proteggerti se non lo Stato, le sue istituzioni, le sue leggi? Ci sono ancora troppe persone discriminate e questo non va bene. Non va più bene. Io non posso fare molto, ma posso, dicendo la verità su me stessa, dire anche che nulla è sbagliato.”

 

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