L’Olanda nel 1974 trova la massima espressione della filosofia che aveva portato l’Ajax a comandare in Europa, il Calcio Totale.
Cosa si intende però per Calcio Totale? Stando alle parole del suo massimo artefice, Marinus Jacobus Hendricus Michels detto Rinus, che non sempre apprezzava la terminologia di totaalvoetbal tanto cara invece ai giornalisti, il gioco del suo Ajax consisteva in un’espansione e restrizione del campo a seconda dei momenti, in una flessibilità del ruolo mista a grande velocità di pensiero e una ricerca spasmodica dello spazio.
Il profeta di questo concetto, fino ad allora mai visto e che è in anticipo di circa 50 anni sui tempi, è Johan Cruyff, uno dei più grandi esponenti della storia di questo sport.
Michels guida l’Ajax fino al 1971, in cui oltre a dominare l’Olanda riesce a conquistare anche la Coppa dei Campioni, la prima di tre consecutive per i lancieri.
Nel ’71 lascia il club e al suo posto arriva Stefan Kovacs, il cui lavoro sarà messo in discussione dallo stesso Cruyff essendo Michels maggiormente metodista rispetto all’allenatore rumeno, ben più aperto alla libertà di espressione del calciatore.
L’Ajax vince la Coppa dei Campioni anche nei due anni successivi, ma all’inizio del 1973 un cataclisma si abbatte sul club. I giocatori dell’Ajax votano contro la riconferma da capitano di Cruyff, portando il Profeta alla drastica scelta di abbandonare il club che ama.
In un attimo una delle più grandi macchine da calcio della storia di questo sport si sgretola con Johan che chiama suo suocero, un commerciante di diamanti di nome Cor Coster che ne cura gli interessi, e si fa trovare una nuova destinazione. Johan lascia l’Olanda per approdare in Catalogna, con il Barcellona proprio di Rinus Michels che spenderà una fortuna pur di averlo.
Gli dei del calcio sono clementi e offrono a parte di questo gruppo un ultimo ballo, un’ultima band reunion che dura sette meravigliose partite. La maglia indossata è di colore arancione, il palcoscenico è la Germania dell’Ovest, l’anno è il 1974 e l’occasione… beh è il campionato di calcio del mondo ovviamente.
Olanda ’74, le sette sinfonie
Il Mondiale di Germania Ovest del 1974 è un vero e proprio spartiacque della storia del calcio. Innanzitutto perché è il primo ad assegnare la coppa nella forma che oggi conosciamo dopo che la precedente versione, il cui nome è dedicato all’ex presidente della FIFA Jules Rimet, venne vinta dal Brasile dei cinque numero 10 quattro anni prima, in finale contro l’Italia.
C’era infatti la regola che il trofeo sarebbe stato definitivamente vinto da chi sarebbe stato in grado di conquistarlo tre volte. La realizzazione della nuova coppa venne affidata all’orafo italiano Silvio Cazzaniga per un valore di circa 20 mila dollari.
Il secondo motivo è puramente economico perché il business entra prepotentemente nel mondo del calcio, ad iniziare dalla rottura del tabù dello sponsor tecnico sulle maglie delle nazionali. Queste premesse storiche vengono poi amplificate da quanto visto in campo.
Tornando all’Olanda, gli Oranje arrivano sicuramente tra i favoritissimi al successo finale. Il commissario tecnico è sempre lui, Rinus Michels, chiamato a placare i bollenti spiriti dello spogliatoio, che può contare oltre che alle vecchie conoscenze dei grandi giocatori dell’Ajax anche su valide pedine direttamente dal Feyenoord, l’altra grande squadra degli anni 70 dei Paesi Bassi.
Il mondiale presenta diverse storie ricche di interesse ad iniziare dalla suggestiva sfida tra la Germania dell’Ovest e quella dell’Est che a grandissima sorpresa premiò la squadra filo-sovietica grazie al gol di Jürgen Sparwasser.
Ben più triste è la storia dello Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, che segnò un momento storico per l’Africa Nera, finalmente giunta al mondiale, trasformando il tutto da una grande festa ad un incubo. I risultati comprensibilmente deludenti mandarono su tutte le furie il dittatore Mobutu, che minacciò la squadra che se avesse perso più di 3-0 col Brasile avrebbe avuto conseguenze serissime. Si spiega così il gesto apparentemente folle ma ricco di paura di Joseph Mwepu Ilunga che staccandosi dalla barriera prima del fischio di una punizione al limite, affidata al benedetto mancino di Rivellino, calciò via il pallone lontano. Storie di vita e sport.
Tornando al calcio giocato, l’Olanda vinse il proprio raggruppamento battendo per 2-0 l’Uruguay e per 4-1 la Bulgaria, intermezzando i due successi con uno 0-0 con la Svezia.
La vittoria del girone li portò alla fase successiva del torneo, nel gruppo composto da Germania Est, Brasile e Argentina. Olanda e Brasile vinsero le rispettive gare con le altre due ma una migliore differenza reti portò i primi a giocarsi l’accesso alla finale con due risultati utili su tre.
La Selecao come ricordato era campione del mondo in carica ma l’addio di Pelé e la forma fisica scadente di stelle come Rivelino e Jairzinho non resero onore alla squadra. Una qualificazione stentata al primo turno e due vittorie non propriamente convincenti portarono comunque i verdeoro alla sfida decisiva con l’Olanda.
La più ampia possibilità di passaggio del turno mista alle fatiche del torneo permisero agli olandesi un risparmio energetico con i verdeoro. Ritmi ben diversi da quelli mostrati fino ad ora ma che regalarono comunque agli uomini di Michels la vittoria per due a zero.
Dall’altro lato del tabellone la Germania Ovest dopo un girone iniziale molto deludente viene abbinata alla fase successiva con una rocciosa Svezia, un’imprevedibile Jugoslavia e una sorprendente Polonia.
Il percorso è pressoché speculare a quello dell’Olanda. Germania Ovest e Polonia vincono le rispettive gare e arrivano a giocarsi la finale contro, con il vantaggio dei due risultati su tre a favore dei tedeschi. La partita è tesa e la Polonia spreca molto ma alla fine la porta a casa la Germania grazie al gol, neanche a dirlo, di Gerd Muller.
Olanda e Germania dell’Ovest si giocheranno dunque la coppa all’imponente Olympiastadion di Monaco di Baviera.
I due grandissimi capitani di Olanda e Germania Ovest prima della finale
Olanda, un sogno durato poco più di un minuto
Olanda e Germania arrivano sicuramente con certezze diverse alla grande finale della 10ª edizione della coppa del mondo. I primi forti di un gioco spumeggiante, offensivo, imprevedibile e atleticamente maestoso, i secondi con ben più dubbi sulla forza realizzativa.
Provare a leggere e soprattutto interpretare la formazione dell’Olanda è impresa ardua. Quasi comico disporla su un freddo 4-3-3 visto quanto detto sul Calcio Totale. Ci proviamo, partendo letteralmente dall’unica certezza: in porta ci va Jan Jongbloed che non è propriamente apprezzato dagli esperti perché tra i pali non spicca, anzi è quasi fastidioso, ma Michels lo predilige perché ha degli eccellenti piedi, prerogativa fondamentale per il suo calcio visti i tanti metri da coprire con la linea difensiva alzata di molto rispetto all’abitudine di quegli anni.
Da lì in poi proviamo a schematizzare sulla base di come si mettono ad inizio partita. A destra gioca Wim Suurbier, a sinistra Ruud Krol, al centro, dove ovviamente si gioca a zona, si posizionano Wim Rijsbergen e Arie Haan, col secondo che ha ben più compiti di impostazione rispetto al centrale del Feyenoord.
Da qui è invece totale e ordinata anarchia: Willem van Hanegem, Wim Jansen e soprattutto Johan Neeskens, eleganza e tecnica inferiore solo all’altro Johan. In avanti Rob Rensenbrink, Johnny Rep e vabbè…Lui.
I pronostici sono tutti a favore degli Oranje e non ci vuole moltissimo a confermarlo. Parte l’Olanda, battono, scambi lenti tra i centrali, Cruyff si va a prendere palla, Haan scappa via mentre il Profeta muove i suoi come burattini, elegantemente con il suo classico gesto con la mano, e nel mentre passa il pallone a Rijsbergen che si è buttato nello spazio.
Insistono e si va sulla sinistra, interagisce tutto il lato mancino finché la palla non torna al 14, partito centravanti e finito ultimo uomo. Cruyff riceve, punta, accelera senza preavviso, entra in area e Vogts lo stende. È calcio di rigore, il primo penalty fischiato in una finale, onore e cortesia del signor Jack Taylor.
Il primo rigore fischiato in una finale del mondiale
1 minuto e 18 secondi, una sinfonia meravigliosa, ma tanto dura l’Olanda. Gli Oranje si sentono più forti, sanno di esserlo, lo sono. Ma è un errore da principianti pensare di poter scherzare con la Germania.
Gli olandesi iniziano a sottovalutare, quasi ad irridere, smettono inspiegabilmente di fare quello che hanno fatto nei primi 78 secondi. La Germania Ovest torna in gara, riprende fiducia e al 26° Holzenbein entra in area e viene steso da Jansen. Rigore, ancora rigore? Sì, il signor Taylor ne ha fischiato un altro. Batte Breitner, gol 1-1.
L’Olanda ha capito l’errore, torna a giocare ma ormai la Germania è rinsavita: al 43° Bonhof non viene preso sulla destra mette dentro e chi se non Gerd Muller fa una cosa che non è fisicamente spiegabile. Torsione per incrociare una palla data lunga e gol, 2-1 per i tedeschi.
Gli Oranje tramortiti ci provano anche nella ripresa ma la Germania di un ottimo Maier e di uno straordinario Beckenbauer resistono.
Finisce qui il sogno, la Germania Ovest è campione del mondo.
“Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince” dirà 16 anni dopo Gary Lineker
Olanda ’74: la sua eredità
L’Olanda vista nel 1974 è un qualcosa di irripetibile, per distacco la squadra più forte a non aver vinto un mondiale. Questa nazionale è stata la sintesi perfetta di un modello dominante in Europa, di un pensiero che continua a fare scuola ancora oggi.
Dal terzino che taglia dentro al campo, ai portieri con piedi da centrocampista fino al falso nueve, tutto è una diretta conseguenza di ciò. Il calcio, come tutto nella vita, si evolve ma Rinus Michels e il suo figlio prediletto John Cruyff ci sono arrivati con cinquanta anni di anticipo.
Il tutto resterà agli occhi dei più disattenti come una meravigliosa sinfonia interrotta sul più bello, come un grande quadro non completo. Invece i dettami e i principi del totaalvoetbal restano immortali, anche senza quel successo che avrebbe forse paradossalmente appagato la sete di conoscenza e la voglia di aggiornare e rivoluzionare questo sport.
Da Michels a Cruyff, da Cruyff a Guardiola, da Guardiola a… Xavi, Iniesta, Busquets, Messi? Chissà, il tempo ci darà le risposte.
Nel frattempo, quanto fatto dall’Olanda nel 1974 resta un qualcosa di sopraffino e da fan di questo sport è difficile non rimanerne folgorati.
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