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Wembley, Wimbledon e toilet break 2021

Wembley, Berrettini e toilet break 2021

Wembley, Berrettini e le pause, oppure Wembley, Wimbledon: intimo grado qualitativo. Sì, se si dovesse iniziare a parlare del concentrato di tensione generato da questi due appuntamenti distanti poche ore nella stessa giornata, si potrebbe iniziare così.

È opportuno che non si pensi che i pretenziosi e dotti titoli introducano ad una ponderata analisi di cosa vogliano dire i due eventi di Domenica 11 luglio Domenica 11 luglio per il Bel Paese, dato che numeri e statistiche già parlano tanto.

Wembley, Wimbledon e Mattarella

Wembley, Wimbledon, la Grande Londra insomma riversa su pagine e pagine di giornali numeri sbalorditivi riguardo ai due eventi in questione. Sull’incontro a Wimbledon c’è poco che possano aggiungere in realtà rispetto a quello che già sappiamo a menadito. L’impresa di Matteo Berrettini ha uno spessore che per dimensione, per valore tecnico e storico smuove chiunque.

A tal proposito, non si è ancora capito effettivamente a che ora Sergio Mattarella prenderà l’aereo per Londra ma rimane il fatto che se nel 2015 il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, volò nottetempo a New York per godersi la finale femminile tutta italiana degli Us Open tra Flavia Pennetta, che poi prevalse, e Roberta Vinci, anche quello un avvenimento storico, l’impresa di Berrettini, per spessore e inarrivabilità, a Wimbledon, giustificherebbe un cambio in agenda del Presidente della Repubblica.

Wimbledon ha da sempre la firma dell'England Lawn Tennis and Croquet Club
Wembley, Berrettini e toilet break 2021

Era stato annunciato per tempo infatti che Sergio Mattarella sarebbe stato a Wembley per godersi la finale degli Europei di calcio con gli azzurri di Mancini. Qualcuno avrebbe dovuto immaginare, al Quirinale, che un altro vessillo italico avrebbe potuto sventolare, questa domenica, su uno dei templi mondiali dello sport: il campo centrale dell’ All England Lawn Tennis Club. Un luogo in cui non ti ammettono come socio neppure dopo una risonanza magnetica: servono almeno tre palline, un cerbiatto e due fregi sull’anello d’oro.

Per questo, Matteo Berrettini a Wimbledon sarà probabilmente solo sul prato del Centrale di Londra a colpire una palla, per ore, con la consapevolezza di essere l’unico italiano nella storia ad essere arrivato fino a lì, solo perché il tennis, diceva John McEnroe, è lo sport più solitario che esista. Solo perché in campo non saranno in 11, come gli Azzurri a Wembley. Solo perché probabilmente Mattarella non riuscirà ad esserci per dire a Matteo che saremo tutti lì, a lottare per un sogno più grande di lui, che solo non è.

Su Wembley si direbbe invece che le informazioni superino gli spazi dedicati dai giornali e l’arrivo di Mattarella dia ossigeno al fuoco già divampante. Tra i precedenti rimane indimenticabile la partecipazione di un altro presidente della Repubblica, Sandro Pertini, alla finale del Mundial spagnolo del 1982, con il suo storico “Non ci prendono più, non ci prendono più” sul 3 a 0, l’abbraccio al ct Enzo Bearzot e la partita a carte con Causio e Zoff sull’aereo da Madrid a Londra.

Wembly, Berrettini e toilet break
Wembly, Berrettini e toilet break

Domenica 11 luglio, dunque, le fiamme, luci dei riflettori, non si spegneranno dalla città di Londra al termine della finale di Wimbledon. Alle 21, e a una ventina di km di distanza, Wembley ospiterà la finale degli Europei di calcio. Italia-Inghilterra, appunto. “Football’s coming home“, come gli appassionati inglesi stanno cantando da giorni. Ma anche in questo caso i libri dello sport scriveranno un capitolo che sarà storico in ogni caso.

Se infatti da un lato l’Inghilterra aspetta di vincere il suo primo trofeo dal 1966 (all’epoca fu il Mondiale, con finale disputata proprio a Wembley), anche per l’Italia si tratta di un evento storico. Non solo perché arriva a soli tre anni di distanza dai Mondiali 2018 mancati in Russia, ma anche perché a Londra si punta a interrompere un tabù a propria volta in corso da oltre 50 anni.

È dal 1968, infatti, che la Nazionale italiana non riesce ad aggiudicarsi un Europeo. Da quel successo a Roma con le firme di Gigi Riva e Pietro Anastasi sono arrivati le amare eliminazioni in semifinale nel 1980 e 1988 e le amarissime sconfitte in finale nel 2000 e nel 2012. Bocconi duri da digerire, in un lasso di tempo in cui addirittura l’Italia era nel frattempo riuscita a vincere due Mondiali. La speranza è che sotto il cielo di Londra tutto questo possa finalmente cambiare. In un giorno in cui la capitale inglese potrebbe essere il teatro dell’improvvisa rinascita dello sport nostrano.

Wembley, Wimbledon e passa la paura

Wembley, Wimbledon e tanti luoghi ancora che attendono di essere scoperti hanno svariati aspetti che li contraddistinguono e li rendono un unicum. Per Wimbledon, si diceva: tra le tante cose vi è il fatto che si gioca sull’erba, e questo sì, può essere cosa sufficiente perché non si manchi di seguirlo. Non ci riuscirono infatti nell’impresa neppure i migliori tennisti italiani di ogni tempo, Adriano Panatta e Nicola Pietrangeli, eppure capaci di imporsi al Roland Garros per una e due volte: Adriano si fermò nel ’78 ai quarti contro l’americano Pat Du Pré, Nicola nel ’61 in semifinale al cospetto di Rod Laver.

Matteo Berrettini è arrivato laddove pochi, pochissimi, e siamo tra questi, immaginavano potesse approdare: la finale di uno slam, per di più quello londinese, il più prestigioso. Ci è arrivato fra l’altro con un percorso quasi netto: sei turni superati, tre set persi, 18 vinti. Non ha mai tremato in nessuno degli incontri e sull’erba ha uno score di 11 successi consecutivi: due settimane fa ha trionfato al Queen’s, altro antico salotto dell’aristocrazia tennistica mondiale e ora, dopo la semifinale vinta, può trionfare questa Domenica in finale contro Novak Djokovic.

Sugli spalti del Centrale di Wimbledon, nella semifinale giocata contro Hubert Hurkacz, c’era tutta la sua famiglia, il suo allenatore, la sua fidanzata Ajla Tomljanovic, il padre, consumato dall’ansia, che per tutta la durata dei quattro set giocati dal figlio ha distrutto il cappello da baseball che portava, schiacciandolo, nascondendocisi sotto, come a non voler vedere il figlio sbagliare, combattere, urlare.

A guardarlo anche David Beckham, Daniel Ricciardo, qualche decina di altri vip e qualche centinaia di migliaia di italiani, tutti ipnotizzati dall’impresa, impossibile anche solo da sognare, di questo ragazzo da record. Eppure, John McEnroe diceva che il tennis è lo sport più solitario di sempre: “Quando gioco sono solo, allo sbando, e lotto fino alla morte davanti a spettatori che mangiano panini al formaggio, controllano l’orologio e chiacchierano sull’andamento della Borsa con l’amico seduto accanto”.  

Non c’è niente che descriva la lontananza di questo sport come questa frase detta dall’uomo, dal campione, che più di tutti la soffriva. Perché il Centrale di Londra, con l’erba ineccepibile e i completini bianchi indossati per tradizione, si trasforma nel Colosseo, se si è quello dentro. A combattere mentre la gente lontana guarda, commenta, esulta o insulta. Domenica sarà così. Ognuno da solo, pur mentre si è insieme, finalmente, a ruggire in modo verace, ma è proprio in quella maniera che si ritrova il nostro collante.

Non diciamo che il verace è un verissimo superlativo, ma la via è quella: una massima espressione. Di qui il passo verso il tratto geografico tipico e genuino è breve. Il verace è un vero che esprime la sua autenticità sincera e concreta nella maniera più chiara e compiuta: “un intimo grado qualitativo”.

Con Wembley e Wimbledon andiamo a liberarci

Dopo Wembley e Wimbledon non possiamo sapere se il tricolore, a fine giornata, sventolerà sul Big Ben, ma forse possiamo già pensare di ridare un toccatina nel calendario in data 11 luglio: la Giornata della resilienza, del talento e della forza italica, sotto le insegne dello sport, che è sempre anticipatore e lettura in filigrana delle dinamiche sociali. Perché sì, dopo chiusure e mezze riaperture, ci volevano questi eventi stimolanti ad allontanare la stitichezza minacciosa dei giorni della pandemia così da permettere a ognuno di liberarsi proprio come, come… come sulla tazza, in un “intimo grado qualitativo” per l’appunto.

La verità infine è che nemmeno per questo pugno di parole si poteva intitolare un pensiero “Il gabinetto italico” o “Il cesso vittorioso”. Perché se c’è una cosa, che sicuramente sarà ricordata con estrema vivezza di questi Europei così come dell’impresa di Berrettini, nel suo Wimbledon, anche da lui stesso, non sarà tanto un risultato in particolare, ma il “toilet break”.

Wembley, Berrettini e toilet break
Wembley, Berrettini e toilet break

Quella pausa lì. Quella normalmente data a fine set nel tennis. Quella che Berrettini si è concesso in semifinale dopo la volée più liberatoria mai pensata, destinata a mettere la parola fine sul terzo set. Quella dopo la quale Berrettini gioca nel primo game del quarto uno dei game migliori della sua partita, proprio nel momento emotivamente più difficile.

Quella tra un tempo e l’altro durante ogni partita di calcio. Quella utile a Gianluca Vialli in occasione della finale di Coppa Italia del 1988, tra Torino e Sampdoria, anche se per sua fortuna Vialli riuscì ad approfittare della pausa tra tempi regolamentari e supplementari. All’andata fu 2-0 per i doriani, mentre al ritorno il risultato era di 2-0 per il toro al novantesimo.

Fu allora proprio nel break prima di riprendere il gioco che lo stesso Vialli si avvicinò all’arbitro Agnolin chiedendogli di poter fare una corsa in bagno. Risposta secca del direttore di gara: “Hai quattro minuti”. L’attaccante della Samp ce ne metterà anche di meno, facendo però preoccupare tutti i suoi compagni, soprattutto Mancini, dell’assenza improvvisa. Rientrato in campo Agnolin chiederà: “Fatta tutta?”  La fece tutta. Vinse la Sampdoria.

Il concetto è quello. Non bisogna accontentarsi di una liberazione a tratti per essere contenti. Bisogna arrivare fino in fondo. La sufficienza non parla italiano. Così ci si diverte e si ride, liberi di sentirci dire “Non ci prendono più, non ci prendono più” . La formula è questa su per giù. Anche Mancini pare essere d’accordo: “Per battere l’Inghilterra dobbiamo scendere in campo per divertirci, come sempre”

Di queste ore magiche non si ricorderà quindi un tiro a giro su punizione, non rovescio lungo linea, non una rovesciata né qualche altro colpo ancora negli armamentari dei due sport, ma per certo lui, il gabinetto. Non il locale, l’ambiente, ma proprio e soltanto lui, quel disdicevole quanto indispensabile sanitario, il gabinetto. La tazza.

Quel momento lì, quando dalla bolgia di gente ci si ritrova soli e si ha ancora il rumore della piazza nelle orecchie, in quel frangente lì ci si accorgerà di tutta quella tensione accumulata, prendendo atto di quanto il calore che ci ha fino ad allora pervaso non abbia risparmiato nemmeno lo stomaco.

Quando lo incontravamo durante il periodo delle restrizioni non potevamo dirci entusiasti. La stitichezza mentale si associava a quella corporea. Adesso è tutta un’altra musica. “Non ci prendono più, non ci prendono più” . Tra una pausa e l’altra, comodamente seduti, potremmo pure pensarci che dopo tanta tensione la sensazione liberatoria risulta tranquillamente equiparabile.

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