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Dana White: i danni al cervello fanno parte del gioco

Dana White: i danni al cervello fanno parte del gioco

Dal nostro partner: FIGHT

Dana White: i danni al cervello fanno parte del gioco

Dana White incarna il classico stereotipo del maschio alfa: duro, puro, diretto e senza peli sulla lingua, a volte perfino crudo, come lo sport di cui è stato uno dei fondamentali pionieri e ambasciatori.
Negli anni, infatti, il boss UFC ha scritto la storia delle MMA portando un brand e uno sport sull’orlo della bancarotta a competere oggi nell’olimpo mondiale.

Lo spettro di Spencer Fisher

A quasi 30 anni di storia, però, i primi scheletri nell’armadio iniziano a venire a galla e tra questi, senza dubbio, quello di Spencer Fisher è uno dei più allarmanti.
Da anni, infatti, circola preoccupazione nell’ambiente nordamericano circa le condizioni di salute dell’ex campione lightweight.

Il 44enne Spencer e la sua famiglia, infatti, si trovano ormai da anni a combattere contro i mostri evocati da una vita spesa all’interno dell’ottagono.
Perdite di memoria, nausea e preoccupanti cambi di personalità. Questi i sintomi di una Encefalopatia Traumatica Cronica grave che sta presentando il conto salatissimo dei tanti successi e trionfi al fighter dell’Iowa.

UFC: dall’insabbiamento all’ammissione pubblica

Fin da subito la UFC ha tentato di comprare il silenzio di Fisher pagandolo (per ammissione dello stesso atleta) 5.000 dollari al mese per non fare nulla.
Con il 2017 e l’acquisizione multimilionaria da parte del colosso dell’intrattenimento Endeavor, però, c’è stato un cambio di rotta e un taglio dei costi voluto dal nuovo management.
I sintomi però non si sono placati…anzi.

Appare abbastanza intuitivo collegare questo tipo di patologie a uno sport bellissimo  e che porta all’estremo il concetto di contatto fisico, ma per anni UFC ha cercato di tranquillizzare l’opinione pubblica sostenendo che le MMA siano più sicure di quanto possa sembrare tanto che Dana White le ha definite “un milione di volte più sicure del Football Americano e dell’Hockey su ghiaccio”.
Ora, a qualche anno di distanza arrivano dichiarazioni in senso contrario.

La parole di Dana White

“Questo è uno sport di contatto e tutti quelli che hanno praticato questo tipo di sport, me incluso, sanno cosa voglia dire avere a che fare con problemi al cervello. Fa parte del gioco”.

Queste dichiarazioni di Dana White fanno molto scalpore non tanto per il contenuto, ma quanto per il fatto che sia stato proprio lui a rilasciarle. Ammettere pubblicamente una cosa del genere, infatti, potrebbe avere conseguenze di non poco conto sull’intero sistema. Dire che a entrare nell’ottagono si rischia concretamente la propria salute fisica e mentale da un lato fa emergere un’apertura onorevole e interessante alla tutela della salute dei propri fighter, ma dall’altro mostra una vulnerabilità nella struttura del sistema.

Non è un mistero, infatti, che se paragoniamo a spanne l’incidenza del capitale umano nelle MMA con quello di altri sport piu’ popolari come calcio o basket, ci accorgiamo subito che la disparità è evidente. Le paghe della maggioranza mondiale dei fighter (con i Conor McGregor esclusi) sono noccioline rispetto ad altri sport in cui si rischia molto ma molto meno.

Ammettere pubblicamente tutto ciò potrebbe voler dire regalare più potere contrattuale alle proprie controparti ogni volta che ci siede al tavolo per discutere un match.
Dana White questo lo sa, però oltre ad essere un osso molto duro è anche forte della certezza che ci sia la fila fuori dal suo ufficio e che quindi, almeno momentaneamente, il vaso di Pandora possa essere richiuso.

Solo i prossimi anni però ci diranno se questo è stato un fuoco di paglia o un punto di svolta nella storia delle MMA.

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