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Francesco Catanese parla del richiamo irresistibile della Dakar

Francesco Catanese parla del richiamo irresistibile della Dakar

Francesco Catanese corre la Dakar 2021 nella categoria Original By Motul, la fu Malle Moto, con il numero 90. Il pilota italiano, arrivato alla sua quinta partecipazione alla storica gara, ha deciso di mettersi di nuovo in gioco in questo 2021 e, a 50 anni di età, ha deciso di intraprendere nuovamente questa storica gara. Catanese ha spiegato alla nostra Cristina Cardone cosa lo spinga a tornare ad intraprendere questa storica ed estenuante gara.

Cristina Cardone: La Dakar oggi come ieri (quando si correva in Africa) ha un richiamo irresistibile. Perché si va alla Dakar? Cosa si cerca?

Francesco Catanese: La Dakar è il sogno di chiunque pratichi fuoristrada con la moto. È l’elevazione a potenza del concetto di “mettersi alla prova” o “sfidare l’ignoto”. Per pochi questo sogno diventa un obiettivo al punto che la passione si trasforma in una vera ossessione. Si cerca in ogni modo di trovare il budget per poter partecipare. Sognavo di fare questa corsa fin da ragazzino, ma ho potuto farlo solo da uomo maturo, quando mi sono realizzato professionalmente. Adesso però la corsa è qualcosa di più grande di me, non ho più quel fisico che servirebbe per farla bene. Ma non importa, l’importante è esserci, l’importante è realizzare il sogno e provarci fino all’ultimo briciolo di energia.

C: Correre quella che era la Malle moto cosa rappresenta oggi? Senza assistenza arrivare in fondo è un trionfo più grande?

F: La Malle è una follia nella follia, ci ho provato nel 2016 ma dopo 8 tappe si è rotta la moto… sicuramente è la categoria più vicina al concetto originario della Parigi Dakar così come l’aveva ideata Thierry Sabine. Per molti però è anche l’unico modo per correrla, visto che si risparmia sul meccanico. È una categoria che promette emozioni fortissime, fin troppo, corri sempre con l’angoscia di avere un problema meccanico o elettrico e non saperlo riparare oppure dover passare la notte a risolverlo. È fondamentale essere calmi e non fare mai errori. Vietato cadere. Ma in 8000 km è sicuro che prima o poi qualcosa capita. Chi riesce a finirla in questa categoria dovrebbe avere 2 medaglie.

C: Trovare la strada, saper leggere le note del Road-book poi, quando torni, ti insegna a trovare le “strade” anche nella vita? Come ti cambia la Dakar in questo senso?

F: I rally in moto in generale mi hanno insegnato tantissimo. Non ci sono scorciatoie per raggiungere gli obiettivi. Non puoi tagliare, devi per forza passare di lì se no sei fuori. Se non riesci a salire su una pietraia o su una duna torni indietro e ci riprovi. Se cadi, rompi, ti ritiri e la prossima volta ti prepari meglio e ci riprovi. La resistenza (durante la tappa), l’ordine mentale (al bivacco), il self-control durante i numerosi imprevisti (incidenti), sono tutte scuole di vita che quando sei a casa ti permettono di affrontare meglio la vita civile e sociale. Non sarei chi sono se non avessi fatto tutti i rally che ho fatto, al di là della classifica che mi ha sempre interessato fino ad un certo punto. L’importante per me è sempre stato vivere la gara e cercare di arrivare in fondo.

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