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Antonio Raimondi: intervista esclusiva in vista del Sei Nazioni 2021

Sei Nazioni 2021: intervista esclusiva ad Antonio Raimondi

Domani inizierà in Sei Nazioni 2021, che andrà in onda in Italia nei canali del gruppo Discovery (DMAX e Motortrend). Alla vigilia dell’inizio del torneo più importante del rugby, abbiamo avuto la possibilità di intervistare Antonio Raimondi, che sarà la voce che racconterà le partite in diretta sui canali Discovery.

Perchè guardare il Sei Nazioni?

Antonio Raimondi: Perché è il più grande Torneo di rugby, come è sottolineato dagli organizzatori del torneo. Andando oltre lo slogan, qui c’è la massima espressione del rugby dove ci sono le radici più profonde, dove ogni singola partita ha un valore, oltre a quello della classifica. Ad esempio sabato si giocherà Inghilterra – Scozia, la prima partita internazionale della storia fu giocata a Edimburgo proprio tra queste due squadre a da allora sono passati centocinquant’anni. In campo ci sarà la rappresentazione della rivalità tra Inghilterra e Scozia.

Quanto sarà difficile questo Sei Nazioni per l’Italia?

A:  È difficile come tutti gli anni. Da troppo tempo non vinciamo una partita nel Sei Nazioni. L’ultima fu contro la Scozia, ad Edimburgo nel 2015. È uno sport crudo perché vince sempre la squadra migliore e quando due squadre si equivalgono, vince la migliore nella giornata. Noi come sempre dobbiamo saper sfruttare le giornate no dei nostri avversari. Siamo in una transizione forzata nella rosa e quindi ancora non abbiamo giocatori con esperienza come in passato. Nel 2015 in una squadra molto giovane c’era gente come Parisse e Ghiraldini, capaci comunque di destare preoccupazione negli avversari.

Cosa dobbiamo attenderci dalle altre squadre in gara?

A: L’Inghilterra è favorita. È il ruolo che le spetta in quanto campione in carica. Ha un potenziale enorme ma deve gestire, anche causa restrizioni COVID, un gruppo ristretto di giocatori. Vorrebbe dominare gli avversari con la propria forza fisica, ma potrebbe incontrare problemi. La Francia è la squadra più giovane e quella che lo scorso anno ha rubato di più l’occhio. Senza cali d’intensità potrebbe essere da Grande Slam, ma deve sostituire un paio di giocatori importanti come Ntamack e Wakarawa. Tuttavia i suoi giovani li pesca dalla squadra che ha vinto due volte il mondiale under 20. L’Irlanda sta procedendo ad una transizione lenta dei nuovi, mescola ancora giovani talenti e giocatori esperti ed è ancora dipendente dal rendimento di Jonny Sexton. Il Galles sembra un po’ smarrito, con il coach Wayne Pivac che non è riuscito a portare nella nazionale lo spirito degli Scarlets ed ora deve costruire la nuova sfida. Infine la Scozia si sta concentrando sulla fase difensiva, convinta che restando in partita il più a lungo possibile abbia poi uomini capaci di inventare dal nulla come Stuart Hogg e Finn Russell.

Che Italia vedremo in campo? Chi sono i giocatori da tenere d’occhio?

A: È una squadra giovane ma non peschiamo nello stesso bacino in cui pesca la Francia, nostra prima avversaria proprio sabato. Quindi per numero e per qualità non siamo a quel livello. Franco Smith scommette sulla possibilità di completare rapidamente la formazione di questi giovani. Quello maggiormente in evidenza già nel finale della passata stagione è Garbisi. C’è poi curiosità per vedere, dopo l’esordio in Autumn Cup, Loane. Un altro che è chiamato ad una conferma è Fischetti.

Hai parlato di Zebre e Benetton Treviso. A livello di club come potresti spiegare, a dei neofiti, il rugby italiano?

A: Sono due “franchigie” che raccolgono i migliori giocatori italiani. Partecipano ad un campionato internazionale con avversari di Irlanda, Galles e Scozia (lo scorso anno prima della pandemia anche Sudafrica). L’idea è che un campionato del genere dovrebbe servire anche a formare migliori giocatori, personalmente non sono molto convinto.

Qual è la telecronaca che ti è rimasta più nel cuore e perché?

A: Molto difficile scegliere. La finale della Coppa del mondo del 2003 tra Inghilterra e Australia è un ricordo fantastico, uno stato di grazia con una partita che è finita ai supplementari con il drop di Jonny Wilkinson e che avrei voluto che non finisse mai. Però scegliendo ne metto tre, tre vittorie. Sulla Francia nel 2011 al Flaminio e nel 2013 all’Olimpico. La gioia di raccontarle. Ma se continuo poi mi viene in mente Edimburgo 2015 con Vittorio in kilt. E poi… Firenze con gli Springboks. E poi… ci sono anche i viaggi, la gioia di raccontare, l’esperienza di trovare amici in ogni luogo del mondo ovale.

Moltissimi sono cresciuti con il mito degli All Blacks e del Sud Africa, ma queste due nazionali sono ancora al top o ci sono avversari temibili anche per loro?

A: Gli All Blacks restano il punto di riferimento. Per come crescono i giocatori, per le innovazioni. Il Sudafrica è campione del mondo e questo chiude ogni discorso. È un rugby diverso quello sudafricano, che ha bisogno di un’intensità emotiva straordinaria che diventa determinante quando si alza il livello del traguardo. L’Inghilterra nella Coppa del Mondo del 2019 ha annientato gli All Blacks ma poi in finale non ha saputo ripetersi. Potenzialmente l’Inghilterra è l’avversario più duro per l’emisfero sud, mentre la Francia continua ad essere quella più capace di fare la sorpresa. Mi piace anche ricordare l’impresa dello scorso anno dell’Argentina, che per la prima volta ha battuto gli All Blacks.

Spesso chi non segue il rugby, ma si informa sporadicamente, dice che “l’Italia è scarsa”, ma in realtà non è così. Puoi spiegare questo mito?

A: In genere dicono anche di peggio. Il rugby spesso ha creato rabbia o invidia in quelli che dicevano non vincono mai, eppure hanno tanto spazio e tanto pubblico. Riempire lo stadio Olimpico come per un Derby Roma – Lazio potrebbe sembrare inspiegabile per quelli del “non vincete mai”. Penso che l’importante sia non raccontare storie. I numeri ci dicono che siamo sesti in questo contesto e altrettanto dicono che siamo migliori di quelli che ambiscono ad entrare. Poi noi in questi anni abbiamo fatto fatica ad essere realmente competitivi, ma qui entriamo in un contesto di programmazione e di politica e i numeri ci dicono che è un sistema che va cambiato.

Quali sono i lati positivi e negativi del raccontare il rugby e le gesta della nazionale italiana agli italiani? Come ti aiuta in questo senso il tuo sodalizio con Vittorio Munari? Parlaci del rapporto che vi lega.

A: La cosa positiva è metterci la passione per la nostra nazionale, quella che mi porta a dire “mai paura” per lanciare i nostri all’inizio della partita. C’è naturalmente il coinvolgimento, l’idea di essere comunque a sostegno con la squadra. Naturalmente le tante sconfitte ti coinvolgono anche emotivamente e le delusioni possono essere molto forti. In genere le delusioni sono tanto più forti quando hai la sensazione che i ragazzi in campo non ci abbiano messo davvero tutto. Non succede spesso, ma a volte è successo.

Vittorio è fondamentale. Per fare le telecronache insieme non serve essere amici, ma esserlo aiuta soprattutto quando ti puoi permettere di confrontarti in modo aperto. Posso dire che non abbiamo mai litigato in tutti questi anni ma siamo sempre stati capaci di analizzare le nostre telecronache e trovare le soluzioni migliori per il nostro racconto. Il rugby degli ultimi venti anni è cambiato e anche il modo e i tempi della telecronaca devono adeguarsi al cambiamento. In ogni caso, il segreto è che alla fine della giornata ognuno va a casa sua. Prima di ogni partita facciamo un’analisi di cosa ci aspettiamo, così siamo più pronti nel riconoscere i vari scenari del campo e quindi raccontarli.

Puoi raccontarci un aneddoto rugbistico che porti nel cuore?

A: Posso dirti questo di un rugby passato e di una Nazionale italiana che ho naturalmente nel cuore. Un giorno andai per fare un servizio al ritiro della nazionale allenata da George Coste. Ero a bordocampo a vedere l’allenamento e stavano facendo un lavoro specifico alla macchina della mischia. Ero vicino a quei giocatori per conoscenza diretta, per la passione per la mischia, e magari qualche birra insieme l’avevamo bevuta e con Franco Properzi mi ero pure allenato parecchie volte. Ad un certo punto serviva del peso per puntellare la macchina della mischia e vedendomi a bordocampo, i ragazzi della mischia mi chiamarono. Modestamente a peso me la cavo, quindi nel mezzo dell’allenamento della mischia della Nazionale, c’era un giornalista a far peso sulla macchina della mischia. Quando arrivò George Coste, non dovette neppure parlare e solo con gli sguardi dei ragazzi della mischia capii che sarebbe stato meglio scendere da quella macchina. Poi posso ricordarti la trasferta di Grenoble del 1997. Potete trovare quel lavoro perché qualcuno l’ha condiviso su youtube. Una grande giornata per il nostro rugby.

Ringraziamo Antonio Raimondi per questa intervista e andiamo tutti a tifare Italia su DMAX! Segui la nostra anteprima per maggiori informazioni.

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